Per prendere spunto dai colleghi

To take inspiration from colleagues

One of my publications is

 

Taber, K. S., & Dutto, C. (2021). Per prendere spunto dai colleghi. Prima ora, scienze (February 22, 2021).

 

 

This is an interview given to (and translated into Italian by)  Claudio Dutto, and published in the newsletter 'Prima ora, scienze'

Per prendere spunto dai colleghi

Gli ho scritto una mail per chiedergli un’intervista. È bastata la sua mail automatica di risposta perché pensassi che fosse geniale. La mail diceva più o meno così:
Attenzione: sono andato in pensione dalle mie attività di insegnamento all’Università. Non farò più supervisione di lavori di ricerca, attività di peer review, lettere di raccomandazione ecc. Farò solo quello che deciderò di fare.

Ero divertito, ma senza molta fiducia. E invece il giorno dopo mi ha risposto e ne è nata un’intervista. Lui è Keith S. Taber, ex professore di Science Education all’università di Cambridge e autore di centinaia di articoli sulla didattica della chimica e delle scienze.

Professor Taber, dopo tanti anni a studiare la didattica della chimica, quale messaggio ne ha ricavato?

Più di altre scienze, la chimica offre molte occasioni sia per attirare gli studenti sia per frustrarli.

Quali sono gli argomenti che mettono più in difficoltà gli studenti?

Ogni studente trova difficoltà diverse: qualcuno ha problemi con gli aspetti matematici applicati alla scienza, non importa quanto basilari; altri non riescono a visualizzare le molecole e a orientarle mentalmente nello spazio. La chimica è una materia concettuale, quindi anche se all’inizio può attirare coloro che amano gli esperimenti spettacolari, presto richiede un alto livello di sviluppo cognitivo per essere compresa fino in fondo.

La conoscenza della chimica, infatti, si basa su modelli. A meno che gli studenti non comprendano la natura e lo scopo dei modelli scientifici, che cosa se ne fanno, per esempio, della legge dei gas ideali e della legge di Raoult, che non sembrano avere applicazioni strette con nient’altro? Che cosa se ne fanno dei modelli della struttura atomica (per esempio, il modello a gusci), che sono utili in un certo contesto, ma non lo sono affatto in altri? Non aiuta molto l’idea che agli studenti venga insegnata una cosa e pochi anni dopo venga detto loro che quella cosa era sbagliata e quindi occorre ricominciare (o almeno, questa è l’idea che si fanno gli studenti).

Perché molti studenti sono spaventati dalla chimica organica?

La chimica fisica si basa su un numero limitato di leggi e principi che una volta padroneggiati possono essere applicati da coloro che hanno sviluppato un pensiero altamente astratto (ad esempio, da coloro che hanno pienamente acquisito le operazioni formali di Piaget – di cui riparliamo più avanti nella newsletter).
La chimica organica, invece, implica l’apprendimento di tanti tipi di gruppi funzionali, classi di composti e reazioni con nomi difficili che richiedono condizioni particolari o danno risultati diversi a seconda dei reagenti presenti. In più la sintesi di nuovi composti può sembrare più una forma d'arte che una scienza. Tutto questo genera disordine nella mente degli studenti.

Ciò dimostra ancora una volta la diversità che c’è nella chimica. Per aiutare gli studenti, gli insegnanti dovrebbero mettersi nei loro panni degli studenti e non agire da esperti della materia.

Quanto dovrebbe essere integrato l’insegnamento della chimica con quello delle altre discipline?

Le tendenze sono due: da una parte l'insegnamento attraverso discipline separate (chimica, fisica, ecc.), dall’altra integrato in un curriculum più ampio (come STEM). Penso ci sia del buono in entrambi gli approcci (soprattutto per gli studenti più grandi), ma quello integrato non può essere applicato completamente. Può però tornare utile per capire il modo in cui le scienze vengono applicate per la tecnologia e l’ingegneria.

Come è cambiato l’insegnamento della chimica negli ultimi 10 o 20 anni?

Penso ci siano due settori in cui la didattica della chimica si è sviluppata maggiormente, anche se più in alcuni stati e meno in altri (in Italia non saprei dire). Il primo è l’influenza della pedagogia costruttivista, che ha dimostrato agli insegnanti quanto sia importante coinvolgere gli studenti e condividere con loro un modo di pensare e capire. Perché l’apprendimento è interpretativo, incrementale e iterativo e un insegnamento efficace deve tenerne conto.

Il secondo è l’importanza di insegnare la natura della scienza così come i suoi risultati (teorie, modelli, scoperte). Questo permette di collegarsi a uno degli obiettivi più ampi dell’educazione scientifica, ovvero portare avanti tutti e non solo coloro che intraprenderanno la carriera di scienziati. Ma permette anche di far capire meglio dei concetti chimici. Per esempio credo sia importante insegnare quegli argomenti che hanno un valore extra-scientifico, ovvero quegli argomenti in cui non basta la conoscenza scientifica pura, ma occorre tenere conto di aspetti sociali, ambientali, economici eccettera. Per esempio, attraverso la scienza si può spiegare quali siano i costi ambientali di un impianto chimico in una determinata area, ma non si può spiegare quanto siano accettabili quei costi e quali ricadute economiche possano avere.

In che modo gli insegnanti possono far crescere la creatività e l’immaginazione degli studenti?

Credo che questo sia un obiettivo a lungo termine, da condividere con tutte le materie del curriculum scolastico. La vera questione è: perché studenti che in genere sono creativi in altre discipline e nelle loro attività extra-scolastiche non esprimono più creatività quando si occupano di scienze? Temo che il messaggio implicito che traggono è che le scienze si occupano di logica e di fatti, non di immaginazione e creatività. Ovviamente le scienze hanno bisogno di logica e di una buona base di conoscenze, ma non vanno molto lontano se hanno solo quelle: creatività e logica hanno bisogno di procedere insieme per portare un progresso.

Come si può applicare questo principio a scuola?

Innanzitutto il ruolo dell’immaginazione nelle scienze deve essere enfatizzato di più dall’insegnante. Poi agli studenti vanno dati dei compiti che prevedano dei premi per la loro creatività, non solo per la correttezza delle risposte. Si può chiedere agli studenti di cercare analogie o metafore tra i concetti che hanno studiato e la loro esperienza; questo può fornire spunti e idee che permetteranno loro di capire meglio i modelli di cui parlavamo prima.

Quali ricercatori suggerisce di seguire per capire dove stia andando la didattica delle scienze?

Sarebbe ingiusto se citassi dei ricercatori perché rischierei di dimenticare tanti giovani di talento che stanno emergendo. Mi limito a suggerire un mio ex studente che spero continui il lavoro che sta facendo: il dottor Richard Brock del Kings’ College di Londra.